1 – Cosa sono i Fondi pensione e a cosa servono?

I fondi pensione  costituiscono il “secondo pilastro” del sistema previdenziale italiano: il primo pilastro  è affidato agli Enti previdenziali e Casse che erogano trattamenti pensionistici obbligatori, la c.d. “previdenza pubblica”, mentre il secondo pilastro è gestito da organismi privati (i fondi pensione) che raccolgono i versamenti effettuati su base volontaria dagli aderenti,  investono tali risorse mediante apposite strutture specializzate ed erogano prestazioni coerenti con i rendimenti ottenuti dagli investimenti; si tratta insomma di una seconda forma di pensione che si aggiunge a quella obbligatoria e che è appunto chiamata “pensione complementare” o “pensione integrativa”.

 

2 – quali tipi di fondi pensione sono disponibili sul mercato tali da poter  essere acquistati a seconda della situazione del soggetto che intende aderire?

–    fondi pensione aperti: sono creati e gestiti da banche, assicurazioni, Società di gestione del risparmio (Sgr) e Società di investimenti mobiliari (Sim) collocati presso il pubblico. Vi possono aderire lavoratori autonomi, liberi professionisti e lavoratori dipendenti. Possono altresì aderire i familiari a carico dei lavoratori nonché i non lavoratori.  L’adesione può avvenire in forma individuale o, se il Regolamento del singolo Fondo lo consente, su base collettiva;

–    fondi pensione negoziali (detti anche fondi chiusi): sono istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali di specifici settori economici; l’adesione  è riservata a determinate  categorie di lavoratori (ad esempio i metalmeccanici hanno il fondo Cometa, i chimici Fonchim., etc.). Questi fondi sono alimentati dal trattamento di fine rapporto che il lavoratore matura e, sempre su base  volontaria, anche da contributi del datore di lavoro e del lavoratore stesso;

–    piani individuali pensionistici (Pip): sono  forme pensionistiche di tipo assicurativo (polizze) rivolte a tutti coloro che, indipendentemente dalla propria situazione lavorativa, intendono costituirsi una rendita integrativa.  i Pip – basati sul sistema a contribuzione definita e quindi non è nota la prestazione finale –  sono costituiti dalle imprese di assicurazione e sono realizzati, in genere, mediante contratti di assicurazione sulla vita,  nei quali la rivalutazione della posizione individuale è collegata ad una o più gestioni separate interne all’assicurazione di riferimento.

 

3 – Ma sono utili questi fondi pensione ai lavoratori futuri pensionati?

L’utilità dei fondi pensione è evidente, specie in un contesto generale in cui la tutela garantita dalla previdenza pubblica si è ridotta sempre più in termini di durata, in quanto l’età pensionabile è stata gradualmente innalzata, ma anche in termini di importo, perché, nel tempo, gli iscritti beneficeranno di una prestazione calcolata con il sistema contributivo ovvero con la rivalutazione dei contributi effettivamente versati in tutto l’arco della vita lavorativa e non con il più favorevole sistema retributivo, che prende a riferimento solo le retribuzioni degli ultimi anni, di solito più elevate.
I fondi pensione sono una possibile via di uscita da questa impasse.

 

4 – I soldi così versati stanno al sicuro per la nostra pensione integrativa? Quali sono i rischi? I fondi possono perdere? Ci sono le garanzie?

Premesso che la sicurezza è un concetto che, nello scenario del mercato globale e della crisi che ormai da anni stiamo affrontando, è divenuta una variabile  sempre meno presente nelle relazioni economiche,  va ricordato, tuttavia, che è interesse  dei fondi che i soldi versati dagli aderenti siano impiegati, da soggetti esperti nella gestione del risparmio, nelle migliori formule  finanziarie del momento e tutte finalizzate ai massimi rendimenti.

Proprio per vigilare sulla regolare amministrazione dei fondi è stata istituita la COVIP,  un’apposita  Commissione di vigilanza, perché, mentre nel sistema pensionistico obbligatorio i contributi previdenziali sono prelevati dal reddito da lavoro e subito spesi per pagare le pensioni ed altre prestazioni previdenziali, con una sorta di solidarietà tra generazioni, le somme versate ad un fondo pensione integrativo finiscono  nel mercato dei capitali, dove prudenza e lungimiranza sono d’obbligo; viene, quindi, chiesta trasparenza nella gestione e  nelle modalità di offerta del prodotto derivante dal risparmio dei cittadini.

La COVIP vigila su tutto questo.

Quanto alle garanzie ed al coinvolgimento dei Fondi in caso di fallimento di un istituto bancario o di altro soggetto cui è affidata la delega di gestione di parte del patrimonio, va ricordato che esiste una legge che prevede la separazione del patrimonio dei fondi pensione, specie di quelli di nuova costituzione,  da quello delle società che li gestiscono.

Con la nomina dei gestori finanziari le risorse di proprietà del Fondo pensione, vengono investite in modo prudente e diversificato in base alle direttive dell’organo amministrativo del fondo e nel rispetto dei limiti di legge e della regolamentazione vigente.  Pertanto i fondi pensione non possono essere coinvolti dalla liquidazione di una banca o di un gestore finanziario perchè i creditori non si possono rivalere sui titoli dei clienti.

La disciplina ed il comportamento dei fondi complementari è comunque affidata ai regolamenti dei singoli fondi pensione che è differente da un fondo all’altro; per questo l’attenta analisi del regolamento del fondo pensione è elemento  prioritario  da valutare nella  fase di scelta.

 

5 – Ma i fondi non sono tutti uguali, alcuni potrebbero andare bene e altri male, Lei ha detto prima che non c’è garanzia assoluta; dunque come orientarsi nella decisione? Un fondo si può scegliere?

La scelta va fatta intanto sulla base della propria posizione: se si tratta di lavoratore dipendente di un settore che ha già un fondo aziendale (negoziale o chiuso) aderisce a quello e va detto anche che, tra il 2000 ed il 2014,  i fondi negoziali in media hanno reso di più.

Infatti, il Rapporto della COVIP ci dice che, mentre nel 2013 i fondi negoziali  hanno reso in media il 5,4% e i fondi aperti l’8,1% e i Pip  il 12,2%, nel 2014, invece, i risultati si sono allineati: gli investimenti nei fondi pensione negoziali e nei fondi aperti hanno reso in media, rispettivamente, il 7,3% e il 7,5%, e i Pip il 7,3%.

Quindi, comunque tutti i fondi risultano più convenienti per il lavoratore del Tfr lasciato in azienda, che si è rivalutato solo dell’1,7% nel 2013 e dell’1,3% nel 2014.

Quindi,  per orientarsi nel groviglio dei fondi pensione, un lavoratore, come dicevo,  è bene che si rivolga al suo datore di lavoro che, specie se si tratta di un’azienda di grandi dimensioni è sicuramente ben informata; se invece l’azienda è di piccole dimensioni oppure stiamo parlando di un soggetto che non ha un rapporto di lavoro dipendente, l’alternativa è la strada del Sindacato che, essendo presente con propri esponenti nei consigli di amministrazione dei vari fondi pensione, conosce bene il variegato panorama della previdenza complementare\integrativa.

 

6 – Nella sua lunga esperienza nel mondo previdenziale ha maturato idee migliorative dell’attuale sistema di previdenza complementare?

Qualche numero ci aiuta a capire meglio il panorama nel quale ci muoviamo; gli iscritti alla previdenza complementare sono  passati nel 2015 a 7,2 milioni, con un incremento del 12,1% sul 2014, dovuto essenzialmente  al nuovo contratto degli edili che prevede l’automatica iscrizione del Tfr; per il resto i numeri complessivi restano uguali. Tra l’altro, vanno scomputati dagli attivi circa 1,8 milioni di lavoratori, in genere autonomi, che hanno smesso di versare i contributi,  consolidando un trend negativo registrato da qualche anno in qua, per effetto della crisi.

Lo scenario complessivo di circa vent’anni ci dice che in Italia su una platea potenziale di circa 25 milioni di soggetti, il tasso di adesione è del 28,3% e se parliamo dei dipendenti pubblici la situazione è ancora più grave perché, su un plafond di 3,3 milioni di soggetti, sono  iscritti ai rispettivi fondi di categoria soltanto 174.000 persone.

Questa situazione generale mi ha indotto a riflessioni sulla problematica già nella mia veste di Presidente dell’Inpdap (l’ente di previdenza dei pubblici dipendenti prima della sua confluenza in Inps del 2012) e le verifiche condotte, in quegli anni, hanno evidenziato alcune tipologie di cause o concause della disaffezione alla previdenza complementare:

1 – scarsa disponibilità dei singoli di risorse finanziarie da destinare alla previdenza complementare dovuta alla crisi economica;

2 – scarsa informazione sugli scenari futuri del sistema previdenziale;

3 – scarsa fiducia nel sistema di previdenza “privata” quale è  quella dei fondi pensione.

Escluso il primo aspetto che richiederebbe altra sede di analisi, vale la pena soffermarsi sugli altri due: la scarsa informazione è una “piaga” sanabile con iniziative di formazione sia nelle scuole, mediante appositi corsi di finanza ed economia previdenziale, sia nelle aziende che attraverso i media.

La terza variabile è la più difficile da gestire perché incide sulla percezione che i lavoratori hanno, in generale, del sistema privatistico di gestione dei loro risparmi   e del quale non si fidano affatto, forse più per pregiudizio che per informazione.

Pertanto, avevo personalmente posto allo studio una ipotesi di riassicurazione dei fondi pensione da parte dello Stato, con la finalità di dare maggiori sicurezze; purtroppo tali iniziative, dopo la mia uscita, non hanno avuto seguito.

Infine, resta sempre in piedi il discorso della integrale detassazione dei fondi pensione che, più volte sottoposta all’attenzione della politica, anche da parte di iniziative da me sollecitate, di fatto non è stato ancora recepita.